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Counseling Day 2023


 
Professionisti a intermittenzaIl lavoro, anche per i professionisti, è come una luce che si accende e si spegne. Alimenta speranze quando c'è, scava incertezze quando non se ne trova più. Avvocati, commercialisti e promotori finanziari. Architetti, biologi e geometri. Ma anche organizzatori di eventi, docenti, educatori e redattori. Tra loro, negli ultimi cinque anni, più di sei professionisti su dieci sono stati costretti a misurarsi con l'alternanza di tempi in cui si lavora e tempi in cui di lavoro proprio non ce n'è. A dirlo è lo studio, presentato questa mattina, di Ires-Cigl che ha analizzato un campione di quasi quattromila profili, tra autonomi, dipendenti e praticanti, del complesso mondo delle professioni.

Molte le difficoltà con cui questo spicchio significativo di italiani si ritrova a fare i conti. La crisi certo, ma anche i mancati interventi normativi per rendere davvero più aperto e efficiente il mercato delle professioni. Ora chiedono compensi equi, tutele sociali in caso di malattia, infortunio, maternità e disoccupazione.

Negli ultimi anni solo il 38,6 per cento è riuscito a lavorare in modo continuativo. La gran parte, però, ha vissuto a singhiozzo. Con il lavoro che va e viene. Commissioni e impegni per un po'. E poi niente. Nel complesso, nell'arco di cinque anni, sono stati coinvolti dalla discontinuità del lavoro il 61,4 per cento dei professionisti. Nell'ultimo anno il fenomeno, se possibile, è stato ancora più acuto e ha interessato il 64,6 per cento dei professionisti.

La discontinuità occupazionale sembra caratterizzare, in particolare, la vita dei lavoratori del mondo della cultura e dello spettacolo. Tra loro hanno un lavoro “intermittente” l'88,3 per cento. Le cose non vanno meglio per interpreti e traduttori se si considera che quasi tre su quattro alternano lavoro e stop indesiderati. La stessa cosa capita al 76,7 per cento di docenti e educatori. Simili percentuali anche per chi lavora nell'informazione e nell'editoria (vedi tabella).

Quanto al reddito le cose non vanno meglio. In media, nel 2009 il reddito annuale è stato inferiore a 15 mila euro per il 44,6 per cento e di questi più della metà non è arrivato a 10 mila euro. Uno su sei ha superato i 30 mila euro l'anno (vedi tabella). “Le entrate economiche – scrivono gli autori dell'indagine - seguono un’ampia variabilità sia tra i gruppi professionali che al loro interno. In generale, i redditi più bassi si registrano nelle professioni della cultura e spettacolo (il 64,5% ha meno di 15.000 euro netti annuali), nell’informazione ed editoria (59,6%), tra gli interpreti e traduttori (50,1%), i docenti ed educatori (67,8%), i ricercatori (52,6%), i lavoratori a bassa qualifica (50%)”.

Tempi di attesa e accesso al credito. Sei su dieci sono stati poi costretti ad aspettare più di sessanta giorni prima di emettere la fattura e ricevere il pagamento. Un altro 71 per cento dichiara di avere avuto difficoltà ad accedere al credito. Solo il 24,1 per cento arriva a fine mese senza difficoltà. Anche nel caso dei professionisti il primo ammortizzatore sociale è il ricorso all'aiuto dei genitori. Ne fa ricorso, spesso o qualche volta, il 53,8 per cento.

Peggio di prima. L'impatto della crisi si è sentito molto. Per il 30,4 per cento la propria condizione economica nell'ultimo anno è peggiorata in maniera sensibile e per un altro 29,4 per cento è peggiorata seppure di poco. E' rimasta stabile per il 26,9 per cento. Pochi quelli che invece hanno visto migliorare le condizioni (13,4 per cento).

Contributi e indennità. I redditi bassi cominciano a preoccupare molti. Tanto che quasi sei su dieci si dicono pronti a versare una quota contributiva pur di potere accedere a un’indennità di disoccupazione a cui per ora non hanno accesso. “È evidente come questa discontinuità nel reddito – scrivono gli autori del rapporto - abbia un impatto non solo sulla situazione presente ma anche sul futuro previdenziale, mostrando la necessità di intervenire con urgenza per sviluppare delle forme di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro”.

Contratti e committenze. La maggior parte opera con partita Iva (il 47,2 per cento) o a regime di contribuzione minima. Ma molti hanno anche contratti del lavoro atipico. A progetto o collaborazioni occasionali. Soprattutto nella cultura e nello spettacolo, i docenti e gli educatori, gli interpreti e i traduttori, i lavoratori dell'informazione e dell'editoria. Uno su cinque ha un solo committente. A questi si deve aggiungere un altro 35,2 per cento che lavora per più committenti di cui uno però è quello principale. Il 44,2 per cento lavora invece per più committenti che pesano in maniera equa. Un unico committente è più diffuso tra i ricercatori (quasi in quattro casi su dieci), i professionisti dell'area economica e quelli dell'area gestionale-amministrativa.

La previdenza. Circa un terzo dei professionisti versa i contributi alla gestione separata dell'Inps e quasi un altro 14 per cento non ha alcun contributo pensionistico. Se si sommano queste due componenti, scrivono gli autori dell'indagine, si osserva come per “il 48,1% dei professionisti autonomi il futuro previdenziale sia caratterizzato da un elevato grado di incertezza”. Riguardo all’opportunità di versare una quota aggiuntiva in un fondo di previdenza integrativo, sarebbero d’accordo il 59,1% degli intervistati. Precisamente, la maggior parte sarebbe d’accordo solo se i compensi fossero più elevati (33,6%), il 18,7% solo se fossero previste delle detrazioni fiscali e solo il 6,7% valuterebbe questa opzione “solo se i compensi fossero definiti contrattualmente”. Dei rimanenti, il 21,9% non è interessato in alcun modo e il 19% preferisce scegliere individualmente sul mercato.

La scelta e la necessità. C'è poi la questione di quanto lo status di autonomo sia una scelta e quanto invece una conseguenza inevitabile delle condizioni del mercato e di quanto chiesto da committenti e imprese. La condizione di lavoratore autonomo è una scelta per il 44,9 per cento. Per il 46,6 per cento è l’unico modo di lavorare nel mercato mentre per un altro l’8,5 per cento è stato esplicitamente richiesto dal datore di lavoro.

Dipendenti e professionisti. Ci sono ad ogni modo dei vantaggi percepiti. La maggioranza dei professionisti ritiene di avere una maggiore autonomia rispetto a chi fa la medesima professione come dipendente. Molti ritengono di godere di maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e di più opportunità di crescita. A questi fanno da contraltare alcuni svantaggi comunque significativi. Quasi la metà degli autonomi ritiene di avere una peggiore organizzazione del lavoro e minori opportunità di aggiornamento. E solo il 46,6 per cento degli autonomi ritiene di avere un maggiore riconoscimento professionale rispetto ai dipendenti. La quasi totalità (85,6%) pensa di sopportare più oneri fiscali e nel complesso il 59,1 per cento degli autonomi ritiene di avere un peggiore trattamento economico rispetto ai dipendenti.

Identificazione di sé. Se chiamati a dare una definizione al proprio status, quasi sette su dieci dicono di essere liberi professionisti con scarse tutele. Uno su dieci si rappresenta come un lavoratore autonomo, il 13,7 per cento si percepisce come un lavoratore dipendente non regolarizzato e solo una minima parte si sente un libero professionista affermato (7,5 per cento).

Le richieste. Quello che chiedono i professionisti in termini di welfare e politiche sono soprattutto tutele certe in caso di malattia e infortunio, agevolazioni pubbliche alla formazione professionale, incentivi alla stabilizzazione contrattuale, sostegno al reddito in caso di disoccupazione, semplificazione degli adempienti amministrativi e la facilitazione dell’accesso al credito. Quanto alla previdenza, i temi più caldi sono il ricongiungimento dei contributi e la parificazione dei coefficienti di calcolo a quelli dei lavoratori dipendenti che svolgono la stessa professione.

Gli obiettivi da perseguire. In questo contesto, ha detto Davide Imola, responsabile professioni di Cgil, è sempre più necessario raggiungere gli obiettivi che prevedono la “riforma delle professioni e un maggior riconoscimento professionale per chi opera fuori dagli ordini, il dialogo strutturale tra il sindacato e le forme di rappresentanza dei professionisti, la promozione di uno statuto del lavoro autonomo che dia impulso al lavoro dei giovani e tuteli l’autonomia dei professionisti con scarse tutele”.

titolo: Professionisti a intermittenza
autore/curatore: Federico Pace
fonte: La Repubblica
data di pubblicazione: 28/04/2011
tags: crisi economica, occupazionale, cgil, professioni, riforma, previdenza, pensioni

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